A cura di Irma Castillo e Ulises Mora
Lo cubano, la cubanía y la cubanidad en José Martí
José Martí nasce a L’Avana il 28 gennaio 1853, figlio di due spagnoli da poco trasferitisi nell’isola quando Cuba era ancora una colonia spagnola. Fin da bambino conosce la situazione sociale dei cubani privati di ogni diritto civile e le disumane condizioni di vita degli schiavi e delle punizioni corporali che subiscono arbitrariamente.
Nel 1869 pubblicò il suo primo testo politico nell'edizione unica del giornale "El Diablo Cojuelo". Lo stesso anno pubblicò "Abdala", un dramma patriottico in versi, nel monovolume "La Patria Libre". Il suo celebre sonetto "10 de octubre" fu pure scritto nel 1869 e fu pubblicato poco più tardi nel giornale della sua scuola.
Nonostante questo suo successo nel marzo di quell'anno le autorità coloniali chiusero la scuola, costringendo così Martí ad interrompere gli studi.
Nell'ottobre sempre del 1869 fu incarcerato nella prigione nazionale in seguito ad un'accusa di tradimento formulata dal governo spagnolo, per la quale fu condannato a sei anni di reclusione.
La sua famiglia cercò in tutti i modi di far scarcerare l’allora sedicenne Martí, ma tutti gli sforzi fallirono. Col tempo Martí si ammalò e le sue gambe subirono gravi lesioni a causa delle catene che lo cingevano. Fu dunque trasferito dal carcere al confine nella allora Isla de Pinos (oggi Isla dela Juventud). In seguito, il governo decise di rimpatriare Martí in Spagna, dove studiò legge e scrisse diversi articoli sulle ingiustizie del dominio spagnolo a Cuba.
Dopo aver passato qualche tempo in Spagna completò gli studi e conseguì il diploma in diritti civili. Si trasferì poi in Francia, dove trascorse qualche tempo prima di ritornare segretamente a Cuba sotto falso nome, nel 1877. Non riuscì ad ottenere un impiego finché non accettò un lavoro come professore di storia e letteratura a Città del Guatemala.
Il 10 ottobre 1868, a Cuba, il proprietario terriero Carlos Manuel de Céspedes libera i propri schiavi e si alza in armi contro le autorità spagnole al grido di “¡Viva Cuba libre!”. La guerra dei dieci anni è iniziata e i suoi uomini ottenengono i primi successi militari.
Martí si schiera con gli insorti scrivendo un articolo e un poema drammatico di chiaro stampo patriottico, ma viene di conseguenza incarcerato e, dopo alcuni mesi di lavori forzati nelle cave di calce vicino a L’Avana, viene deportato in Spagna, dove proprio in quegli anni crolla la giovane Repubblica spagnola a favore della restaurazione monarchica.
Martí continua la sua opera anticoloniale attraverso scritti e lettere al governo spagnolo, ma nonostante l’impegno per diffondere anche fuori da Cuba la parola indipendentista non ottiene nessun risultato.
All'inizio del 1875 Martí giunge in Messico, da dove è costretto a fuggire in seguito alla presa del potere di Porfirio Díaz e, dopo un breve e difficile soggiorno in Guatemala, è di nuovo a Cuba, dove un'amnistia seguita alla fine della guerra dei dieci anni cerca di riconciliare le due parti che si erano combattute per dieci lunghi anni.
A causa della sua attività sovversiva Martí viene esiliato per la seconda volta a Madrid, dove rimane pochi mesi prima di imbarcarsi per New York, dove giunge agli inizi del 1880. Qui rimane ininterrottamente per undici anni, salvo sei mesi di permanenza in Venezuela, ma anche da quest’ultimo paese è costretto a fuggire in tutta fretta poiché entra in forte contrasto con il governo.
A New York Martí lavora come corrispondente dall'estero per i più importanti giornali latino-americani e si addentra sempre più nella complicata società nordamericana della quale contesta, con le sue opere letterarie, le condizioni di vita degli afroamericani, dei nativi americani e dei lavoratori delle industrie della costa orientale, di cui ritrae le sofferenze e ne denuncia le condizioni di vita disumane.
Martí parla esplicitamente di imperialismo e accusa gli Stati Uniti di voler intraprendere una guerra di conquista, dopo la sanguinosa appropriazione delle terre indiane, ai danni dei paesi dell'America Latina, che devono sottostare ai dettami del governo di Washington. L’attenzione principale è sempre riservata a Cuba, la terra natia da cui è stato espulso e in cui non può tornare, la patria che deve lottare ancora per la propria emancipazione politica ed economica.
Nel 1891 Martí abbandona ogni carica diplomatica e giornalistica e si dedica interamente alla preparazione della rivoluzione a Cuba, intuendo come gli Stati Uniti stanno contrattando con il governo spagnolo l’acquisto dell’isola. Si reca in Giamaica, nella Repubblica Dominicana e in Florida tra la numerosa emigrazione cubana, dove raccoglie fondi e armi.
L’anno seguente fonda il Partido Revolucionario Cubano, che deve guidare l’eterogeneo movimento.
A fine febbraio del 1895 scoppia la Guerra di Indipendenza, che si riallaccia moralmente alla guerra dei dieci anni. Martí cade in uno scontro a fuoco con un reparto dell'esercito spagnolo.
Il corpo senza vita del Maestro ebbe numerose sepolture finché riposò definitivamente nel Cimitero di Santa Ifigenia, a Santiago de Cuba, dove i marmi dell’Isola della Gioventù e le pietre di Jaimanitas lo abbracciano e la bandiera cubana e il tepore dei raggi del sole baciano la presenza di un ideale anche oggi vigente.
Benché sia morto senza liberare Cuba, di lui la storia non ha conservato questo insuccesso, ma l'insegnamento che egli ha lasciato. Egli ha formato Mella, Chibàs e Castro.
José Martí incarna la coscienza storica di Cuba: dal Rio Grande alla Patagonia, di eco in eco, essa risuona su un continente che aspetta che "suoni l'ora di proclamare una seconda volta la propria indipendenza", negri, indios, meticci, iberici, duecento milioni di uomini poveri e disprezzati, nuestra América.
“La ricchezza esclusiva è ingiusta. […] Non è ricco il paese dove ci sono alcuni uomini ricchi, bensì quello dove ognuno possiede un po’ di ricchezza”
"la patria necesita sacrificios. Se la sirve, pero no se la toma para servirse de ella. Es ara y no pedestal”
“La patria necessita sacrifici. Si serve, non ce se ne impossessa per servirsene. La patria è un altare, non un piedistallo”
J. Martí. Obras Completas, “Carta a Ricardo Rodríguez Otero”, 16 maggio 1886, tomo I
Un grande! E sempre fonte di ispirazione. Il suo spirito non morirà mai! Viva Cuba!